Si è tenuto dal 16 al 22 aprile il 28° corso dell’Università dei consumatori dal titolo «Crisi economica o crisi di sistema?», organizzato dalla CFL insieme all’ACU e tenuto da Andrea Di Stefano.
«La crisi è reale. Violenta. Crea disgregazione, povertà, paura, razzismo. Nessuno vede la fine del tunnel. Ma non si tratta di un evento improvviso».
Sono queste le parole con cui Andrea Di Stefano avvia l’editoriale della rivista Valori, di cui è il direttore, nel numero di aprile del 2009.
Chi meglio di lui quindi poteva spiegare ai soci della CFL come comprendere il momento difficile in cui ci troviamo, e come scoprire insieme se esistono, e quali possono essere, le vie d'uscita?
Cause vicine e lontane della crisi — Cambia l'economia? Cambiamola noi. Alcune suggestioni — Cittadini e consumatori: come difendere diritti e portafoglio: tre incontri, che ci hanno aiutato a interpretare la realtà contemporanea e a individuare modelli di comportamento che ci consentiranno di uscire dalla crisi, non indenni, ma trasformati in cittadini migliori.
La crisi economica in corso non è un fenomeno passeggero, è una crisi di sistema.
Il modello neoliberista ha dimostrato di non essere valido, l'accumulazione del profitto come unico obiettivo non è sostenibile, lo spostamento verso una economia in cui dominano le operazioni finanziarie e le banche, e non viene più riconosciuto il lavoro come elemento centrale del sistema, ha creato masse di nuovi poveri.
Pratiche finanziarie controverse e episodi di corruzione, così come la proliferazione di fondi neri e paradisi fiscali, sono stati agevolati dalla mancanza di una vera volontà di controllo a livello internazionale.
Il sistema finanziario, gonfiato artificialmente, è però scoppiato, pare in forma definitiva.
Possiamo approfittare di questa crisi per costruire modelli economici nuovi, più sostenibili e giusti?
La possibilità esiste, ed è già stata messa in pratica in alcune situazioni virtuose.
Il punto chiave consiste nel contrastare la logica del profitto come unico obiettivo, cercando di dare valore economico anche ai beni non tangibili.
Questo costringe però a modificare paradigmi e correggere comportamenti.
Deve ad esempio cambiare il nostro rapporto con il prezzo di beni e servizi.
I meccanismi della grande distribuzione hanno modificato brutalmente la proporzione tra costo della merce (e del lavoro necessario per produrla) e costi legati all'intermediazione e ai trasporti, che influiscono per una percentuale molto alta sul prezzo totale, costituendo in alcuni casi quasi il 90% del prezzo finale. La conseguenza non è solo economica, ma si traduce in un peggioramento della qualità e nell'adozione di modelli produttivi imposti dal mercato, per riuscire a resistere alla compressione dei costi di produzione.
Bisogna quindi agire, non necessariamente per abbassare il prezzo, ma per redistribuire più equamente il ricavo tra il produttore e gli altri agenti.
Una soluzione possibile è costituita dal recupero delle filiere di economia locale, in particolare di quelle agricole, visto la vocazione italiana alla produzione primaria.
Si tratta di riscoprire la vocazione produttiva di un dato territorio, in cui spesso le politiche agricole sono state influenzate dalle sovvenzioni, che hanno indotto a modificare le colture stravolgendo l’assetto tradizionale a scapito delle coltivazioni tradizionali e della biodiversità . Il consumatore deve rivedere i propri consumi e il proprio stile di acquisto, e può rendersi necessario effettuare scelte innovative, che richiedono impegno e investimenti anche da parte del produttore, come per esempio la riconversione all’agricoltura biologica.
In questo momento sono in corso esperienze pilota come i Gruppi d’Acquisto Solidale (GAS) e i Distretti di Economia Solidale, nell’ambito dei quali si cerca di coordinare e sostenere le realtà produttive che accettano questa sfida. Si creano reti che facilitano l’incontro tra produttore e consumatore, offrendo la possibilità di comprare “a chilometro zeroâ€, riducendo i costi legati a trasporto e commercializzazione, e sostenendo le attività locali.
In questo quadro, un ruolo importante è giocato dal decisore pubblico: le scelte delle pubbliche amministrazioni possono e devono contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio e della sua economia. Molti sono gli aspetti in cui il pubblico può intervenire.
La politica degli acquisti può influire in modo decisivo sullo sviluppo di alcune produzioni locali. Un esempio è dato dalla gestione dei servizi di mensa e ristorazione scolastica. Leve economiche possono essere utilizzate per indirizzare i consumi, ad esempio con una gestione differenziata della tassa sui rifiuti, che può penalizzare o privilegiare alcune attività a vantaggio o discapito di altre. La gestione del territorio, che individua le aree a scopo industriale, agricolo, commerciale, dovrebbe svincolarsi dalla logica del maggior introito possibile, derivante dagli oneri di urbanizzazione e dalla riscossione delle imposte locali, e dovrebbe, ad esempio, limitare l’insediamento delle grandi superfici, la cui distribuzione sul territorio è ormai dimostrato come dipenda esclusivamente da interessi non più commerciali, ma legati alla speculazione immobiliare.
I consumatori hanno la forza e la possibilità di cambiare il sistema economico?
Ancora una volta la risposta è sì, ma a patto che ci si impegni a cambiare attitudine. Dobbiamo imparare ad analizzare la realtà in base a parametri diversi da quelli dei poteri dominanti. Si tratta di scelte strategiche, complesse ma non impossibili.
Deve cambiare la nostra percezione: prima che consumatori siamo cittadini, e dobbiamo preoccuparci di compiere i nostri doveri così come di esigere che vengano rispettati i nostri diritti. I diritti che riteniamo ci debbano essere garantiti come consumatori ci devono in realtà essere garantiti in quanto cittadini.
La differenza non è solo formale, ma ha risvolti economici importanti.
Le regole del sistema economico neoliberista affidavano al consumo e al consumatore il ruolo chiave nella regolamentazione del sistema stesso. L’idea alla base era quella secondo cui il mercato si autoregola, e che si produce ricchezza complessiva per il sistema quando vige la libera concorrenza e le forze economiche sono libere di esprimersi. Il consumatore, attraverso la libera concorrenza, è regolatore e garante del funzionamento
del sistema.
Di fatto, la cosa non ha funzionato. Solo il consumo sostenibile è infatti in grado di produrre benessere
duraturo.
In quanto cittadini, dobbiamo esigere che gli investimenti pubblici siano destinati al bene collettivo, e non a interessi privati, o che comportino un danno per il territorio.
Il bene collettivo si ottiene con un diverso assetto territoriale e con interventi di lungo e medio termine in cui la comunità si possa riconoscere e in cui sia considerato anche il valore dei beni intangibili.
Bisogna combattere l’errata convinzione che ciò che è pubblico sia antieconomico. Anche il pubblico può essere efficiente. È evidente che parlare di efficienza non vuol dire parlare di profitto. Esistono esempi virtuosi all’estero. Ad esempio in Francia, un Paese senza problemi energetici, e in cui l’ente di distribuzione dell’energia elettrica è ancora in mano pubblica (EDF), sono stati avviati piani di ristrutturazione delle case popolari secondo il principio del risparmio energetico, ed è stato istituito un sistema di “ecoprestito†per i privati cittadini che vogliano fare altrettanto.
Oltre all’impegno civico, bisogna imparare a utilizzare gli strumenti del diritto: aprire dei contenziosi legali è una pratica diffusa all’estero ma poco usata in Italia. Quando il pubblico opera scelte che non favoriscono la comunità , un’autorità terza, quale quella giudiziaria, può consentire la soluzione dei conflitti di interesse.
Durante le serate i momenti di dibattito sono stati numerosi, con ampio spazio dedicato alle riflessioni e alle domande dei partecipanti. La visione presentata dal relatore è stata pienamente condivisa, e non sono mancate le occasioni per evidenziare come il progetto della CFL non solo sia pienamente in linea con il percorso proposto, ma si possa considerare una delle esperienze più antiche e consolidate, a livello non solo locale ma anche nazionale, di creazione di un sistema di economia comunitaria e sostenibile. Oltre alla componente storica della vendita di prodotti alimentari e di consumo, la CFL sostiene oggi altre filiere di produzione alternativa di beni e servizi, ad esempio con il gruppo d’acquisto del fotovoltaico.
Il motto “Consumare meno, consumare meglioâ€, che ci guida da molto prima della crisi, dimostra pienamente la sua attualità !
Teresa Medici
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